Sabbanotizie

Con l'aiuto di we can tell,controinformazioni e controcommenti su tutto quello che passa sotto il mio naso o sotto quello di chi scrive. A cura, si fa per dire, di Sabba Coadiuvato da Multatuli . pagina letterariaAcquelibere pagina su cantelloViviamcocantello

mercoledì, aprile 07, 2004

Il potenziale creativo della frustrazione.

Kurt Kobain a dieci anni dalla morte.

Oggi faccio una cosa strana: provo a scrivere di musica.

Mi ha colpito il fatto che i maggiori quotidiani europei (il che esclude quindi quasi tutti gli italiani) abbiano dedicato molto spazio all’anniversario del suicidio del cantante e anima dei Nirvana.
Fatto ancora più paradossale dal momento che quasi nessuno di questi articoli sembra attribuire un particolare valore artistico all’opera di Kobain:
"L'influenza postuma dei Nirvana deriva soprattutto dalla distorta mitizzazione della tragica rockstar promossa da Mtv, più che da qualunque cosa che abbiano inciso"(Baltimore Sun)
Siete d’accordo? Io no, visto che i Nirvana mi piacevano e piacciono; ma rimane il problema, perché ne scrivono?
Forse perché viviamo nell’epoca del pensiero unico, dell’estetica unica, per cui proprio mentre per la prima volta nella storia abbiamo accesso a tutte le culture e le produzioni artistiche del mondo allo steso tempo ci confrontiamo con la riduzione dell’arte ad articolo di consumo, per cui gran parte di ciò che ci viene proposto, non solo in campo musicale, tende a non uscire da certi schemi molto ristretti ( so che i “tecnici”della musica vedono generi e correnti, non lo contesto, mi riferisco a un livello diverso).
I Nirvana, secondo me uscivano un po’ da questo schema, mostrando una certa originalità all’interno di uno schema di grande successo commerciale e, leggo, anche ispirandosi a modelli piuttosto vecchi ( cfr “Q” numero di Aprile, ho potuto leggere un riassunto dello speciale sull’anniversario).

Questo mi ha fatto pensare di usare come titolo la frase che vedete in cima a questo articolo e che ho preso da “Le Monde”.

In fondo mi pare che renda bene il senso dell’uomo Kobain e della sua generazione (la mia, nonostante sia di qualche anni più giovane) fra grandi prospettive e incapacità di realizzarle, fra opportunità e scoramento, vivere negli anni del consumismo-religione ci ha portati pericolosamente vicini a una cultura della frustrazione che, per quanto sgradevole, ha il pregio di tutte le culture: nelle sue pieghe produce messaggi e opere imprevedibili, sacrifica i più consapevoli ( o i più sfortunati) ma lascia dietro di loro le tracce dell’arte e della vita.

Perché, lo sappiamo almeno dai tempi di Leopardi, chi soffre di più di solito è proprio chi ama di più la vita.

Il successo e la realizzazione personale di Kobain “non ne fugarono ansie e timori. Che solo le fredde canne ben sistemate di un fucile da caccia seppero cancellare. Per l’eternità. Lasciandoci inconsolabili orfani di un giovane che, attraverso le sue ferite irrimarginabili, aveva visto le nostre. E drammaticamente cantato il putrescente mondo odierno[…]Paolo Zaccagnini, il messaggero.

C’è n’è abbastanza per colpirci e farci sentire questa vicenda come un monito.
Io, comunque, i Nirvana continuo ad ascoltarli, il mondo prima o poi ricomincerà a cambiare, se poi questa società riesce comunque a regalarci qualcosa di bello, almeno ci darà un po’ più di coraggio mentre aspettiamo l’alba.

Sabba.




0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page